L’ombra e la fotografia

l’ombra.

L’ombra è l’immagine fugace prodotta da un corpo, scarto della luce proiettata su di esso– è un’immagine naturale, staglia in modo tecnico su una superficie i contorni di un corpo: esattamente come un’immagine è diversa da esso ma contemporaneamente gli somiglia ; Platone esemplifica questo rapporto nel famoso mito della caverna, nel quale degli uomini prigionieri in una caverna sono costretti a guardare un muro sul quale vengono proiettate ombre per mezzo di oggetti fisici: i prigionieri trascorrono la loro vita convinti che essi siano reali, senza rendersi conto che sono solo mere proiezioni -immagini- di corpi; il rapporto tra ombra e corpo è parallelo a quello tra immagine e corpo. L’immagine, immortalata attraverso il mezzo, diventa l’ombra autonoma di un corpo che l’ha persa insieme alla sua fisicità, ricordo immobile di una persona o di una situazione sfuggita, che si anima nel ricordo di chi la osserva. L’ombra lascia un segno tangibile della presenza di un corpo, dimostra che qui ed ora c’è un corpo, ma non risponde al bisogno umano di lasciare una traccia della propria esistenza, di dimostrare che qui, un tempo, c’era un corpo: un’ombra non può esistere separatamente da un corpo. È proprio così, secondo Plinio il vecchio, che nasce la pittura e l’immagine tecnica: una fanciulla di Corinto tratteggiò sul muro con una linea l’ombra del volto del suo amante proiettata sul muro da una candela, prima che questo partisse per un viaggio, con l’intento di immortalare l’ombra fugace che testimoniò la presenza fisica del suo amato, consentendogli di esistere anche senza un corpo, congelando il suo ricordo, che un tempo era lì seduto accanto a lei- Lì un tempo c’era un corpo, il suo corpo. La naturale necessità dell’uomo di tratteggiare le ombre deriva in larga parte dalla paura più grande dell’uomo, la peggiore realizzazione: quella di essere in un mondo fluido nel quale tutto scorre e, in ultimo, cessa per non tornare mai più. In questo universo senza pausa e senza ripetizione, rivedere l’ombra catturata sulla parete si traduce in un grande sollievo e la momentanea illusione di avere almeno qualcosa sotto il nostro controllo, di poterlo rivedere così come si era svolto per un milione di volte, e di ricordarci che lì, un tempo, c’era un corpo.

calotipia di una foglia, W. H. Talbot

La fotografia.

Nel 1826 Joseph Nicéphore Niépce inventa l’eliografia, il primo procedimento fotografico al mondo, grazie al quale viene raggiunto il traguardo dell’immagine tecnica: una perfetta impressione della realtà fissata su una lastra bagnata da una soluzione chimica. L’immagine che ne risulta è delineata dall’impatto della luce sulla lastra, non è altro che la diretta evoluzione della skiagrafia come descritta dal mito; lo stesso W. H. Talbot, inventore del Calotipo (anche sciadografia, da shadow graphic) era indeciso se chiamare la sua invenzione fotografia o skiagrafia. La fotografia infatti possiede la capacità di assumere il ruolo dell’ombra nel migliore dei modi: è il calco perfetto di una persona, un oggetto, un luogo che appartiene ad un tempo passato ma è allo stesso tempo capace di sopravvivere autonomamente in assenza del corpo. Le potenzialità del mezzo fotografico sono evidenti non solo nell’avveramento dell’antico sogno dell’uomo di possedere il mondo delle immagini, ma anche, in quanto produttore di immagini tecniche, nella sua capacità di ritrarre la realtà così come appare e lasciare potenti documenti storici ed etnografici, chiaramente tracciabili sia nel soggetto che, in modo meno evidente, nello sguardo e nella visione del fotografo che ha scattato la foto. Grazie alla crescente diffusione del mezzo fotografico nel XX secolo ci ritroviamo oggi ad avere una quantità di tali documenti senza precedenti, ritratti non più solo di nobili e mercanti ma anche di contadini, schiavi e operai raffigurati con un’onestà che solo la realtà può dare, testimonianze di ombre che, senza la fotografia, avrebbero ceduto all’avanzare del tempo alla perdita del proprio corpo.

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